Dopo poco più di un anno eccoci riapprodati in estremo oriente! Non più un paese emergente, la Cina, ma uno dei più sviluppati al mondo: il Giappone. Mi risulta inevitabile sin da subito confrontare le due esperienze, forse perchè le uniche fatte in Asia, forse perchè entrambe nascono come una opportunità lavorativa di Mario in ambito universitario. L’aspettativa era tanta ed è cresciuta sempre di più nell’attesa della partenza tra racconti di chi era già stato, articoli e reazioni entusiaste di amici e parenti. Non da ultimo per un ingegnere ambientale Kyoto rappresenta una sorta di “Monte Sinai” dove nel 1997 è stato siglato il protocollo contenente i “comandamenti” da cui discendono, o dovrebbero discendere, le nostre politiche ambientali.
Il Giappone ci offre subito il suo biglietto da visita nel viaggio da Tokyo a Kyoto: i treni, che sembrano esser al loro viaggio inaugurale da tanto sono puliti ed in ordine, hanno una puntualità imbarazzante e sembra quasi che ci aspettino dietro l’ultima curva per esser subito pronti quando arriviamo in banchina. Strana sensazione per chi ha viaggiato in Italia ed è abituto a giocare a “nascondino” con i treni che cercano abilmente di non farsi trovare: in ritardo o soppressi quando si arriva in anticipo, in anticipo quando si è in orario o in lieve ritardo!
E poi la casa. In Cina eravamo stati presi da un certo sconforto quando, entrati dalla porta frustra della “army barrack“, ci si era parata davanti una piccola cucina con numerose candelette di grasso solidificato che come liane scendevano dalla cappa. Le più audaci si erano spinte fino agli armadietti, ed erano rimaste aggrappate alle ante, forse colte di sorpresa dal nostro ingresso, mentre erano in attesa che la polvere e le granaglie sparse all’interno dei mobili le facessero entrare. E le altre stanze non volevano certo esser da meno.
La casa giapponese al contrario ha mobili ed oggetti in perfetta livrea che si specchiano su pavimenti quasi bianchi e assolutamente lustri. Tutto era pronto per il nostro arrivo, ed ogni cosa, scrollatasi di dosso anche l’ultimo granello di polvere, ci attendeva con un ossequioso ed orgoglioso inchino, com’è usanza da queste parti.
Però l’imperfetta accoglienza cinese era impagabile: l’edificio in cui abitavamo era situato dentro il campus e spesso bussavano i ragazzi che venivano a chiamarci per andare a pranzo, cena, per portarci te verde, dolci o altri cibi tipici o anche solo per assicurarsi che non avessimo bisogno di nulla. L’invadente e chiassoso entusiasmo cinese ha lasciato spazio alla discreta cortesia giapponese che, sebbene sia più simile all’accoglienza “occidentale”, ti fa sentire maggiormente lontano da casa.