Sfidando il caldo torrido ed afoso, decidiamo di fare il periplo del lago Biwa ko con il treno. Ci rechiamo così intorno alle nove del mattino alla stazione ferroviaria. La stazione di Kyoto è una struttura in vetro e metallo imponente, ma allo stesso tempo leggera ed aggraziata. Le sue linee curve si aprono a ventaglio per dare respiro alla grande scalinata che nelle ore serali diviene un teatro a cielo aperto.
La prima sosta la facciamo nella cittadina di Nagahama, famosa per la manifattura del vetro. Dopo esserci addentrati nelle strade deserte del nucleo storico, veniamo risucchiati dentro ad uno dei pochi edifici aperti, tappa obbligata per trovare refrigerio in una giornata dal caldo soffocante. Il negozio è ricolmo di manufatti in vetro, simili a quelli che si vedono a Murano, e i bambini rimangono a bocca aperta attratti dalle mille forge e dai colori sgargianti del vetro sapientemente lavorato. Con una certa insistenza e con la promessa di ripassare, riusciamo a proseguire verso il caleidoscopio gigante che giace un po’ arrugginito in un cortile angusto ed incolto dove materiale accatastato, immagini e cartelli sbiaditi, fanno intuire che in precedenza il luogo fosse stato molto più frequentato.
Ripartiamo verso Hikone il cui castello viene considerato uno dei più belli di tutto il Giappone. Scesi dal treno i vestiti ci si incollano addosso in un’atmosfera umida e surreale e l’aria che entra calda dalle narici scende nelle vie respiratorie togliendo il fiato. Il castello bianco sonnecchia adagiato sulle rocce sotto un grande cappello grigio dalle falde arrotondate. Poco più in là pini e ciliegi si riposano anch’essi sulle sponde di un laghetto.
Taluni, inginocchiati sulla riva e protesi verso le verdi acque da cui non riescono a trarre refrigerio, paiono anime del Purgatorio che espiano colpe di un’altra vita. Le pinne delle grosse carpe grigie accarezzano la superficie, mentre le teste delle tartarughe spuntano di tanto in tanto timide come ad un uscio che rapidamente richiudono. Numerosi pesciolini fanno la spola tra il fondo e la superficie dove inghiottono rapidi le incaute effimere che sorrette dalla tensione superficiale riposano ignare del destino che le aspetta. Ad ogni guizzo cerchi concentrici si spandono sul pelo dell’acqua intrecciandosi tra loro e ricamando il placido specchio.
Ripartiamo per Kyoto e d’improvviso il cielo si fa nero e minaccioso. Un violento acquazzone si accanisce sulla terra assetata e il treno fugge veloce in mezzo alla campagna squassata dal vento e dalla tempesta. Le foglie strappate dagli alberi turbinano nell’aria bianca d’acqua e il riso piega la testa schiacciato dalla furia della natura come a proteggere il tesoro che da lì a breve sarà raccolto. Nel giro di poco tutto si placa e quando arriviamo a Kyoto, naturalmente in perfetto orario, il sole basso inizia a tinteggiare il cielo di rosa.