In meno di ventiquattr’ore mi sono catapultato dal dramma dell’atomo “cattivo” ai problemi di quello “buono”. Dalla fragorosa tragedia dei 140.000 morti, all’angoscia silenziosa di tutte le persone che non potranno rientrare nelle loro case chissà per quanto. Ironia della sorte, anche queste circa 140.000.
Da Hiroshima a Sendai, dunque, 6 ore di Shinkansen, prima attraverso un’urbanizzazione pressoché continua e poi solcando zone più rurali e boscose. Sendai ha resistito ad un sisma di magnitudo 9, roba che da noi avrebbe annientato qualunque cosa. Nel laboratorio del Prof. Nakamura mi hanno mostrato qualche piccola crepa su un muro, praticamente solo sull’intonaco, e indicato uno strumento (uno di numero) che è stato danneggiato dal sisma. Tre grandi scosse nel giro di 3-4 minuti, molto intense ma con una bassa frequenza di oscillazione. Anche questo spiegherebbe i danni relativamente contenuti della prima parte della tragedia. Ma poi è arrivata l’acqua, pare abbastanza inaspettatamente almeno per quanto riguarda l’altezza prevista delle onde. E soprattutto il black-out conseguente al sisma non ha consentito di allertare adeguatamente una popolazione che invece avrebbe eseguito alla lettera tutti gli ordini.
La linea ferroviaria ad alta velocità in un mese è stata ripristinata, poco dopo anche l’aeroporto, che era stato investito in pieno dall’onda. Ma Fukushima è ancora lì. Le persone con cui ho parlato cercano di schivare l’argomento. O di minimizzare. Ma tenendo conto del loro atteggiamento schivo e del disagio tipicamente giapponese di parlare di ciò che non va, si capisce che la preoccupazione è ancora elevata. Ed emerge che i giovani non intendono ritornare nelle zone colpite, né vicino al mare. Viceversa per gli anziani.
Tematiche che si intrecciano. La mitigazione dei cambiamenti climatici, di cui il Giappone è elemento centrale sia dal punto di vista simbolico (Kyoto) che della realtà dei fatti (l’incremento osservato della temperatura in Giappone è molto più elevato di quello medio del pianeta), non può prescindere dall’opzione nucleare. O almeno questo è quanto postulano alcuni tra i più convinti sostenitori della necessità di agire con la massima urgenza (J. Hansen in primis). Eppure proprio qua l’energia nucleare ha mostrato il suo volto peggiore. A causa di un evento estremo quanto si vuole, ma che tuttavia si è puntualmente verificato.
Come ho già avuto modo di dire, le centrali nucleari giapponesi sono ancora tutte ferme, ma pronte a ripartire progressivamente tra alcuni mesi. D’altronde i consumi di energia di questo paese sono molto elevati, e le incrementate importazioni di fossili stanno già pesando sulle bollette energetiche. Le rinnovabili si stanno sviluppando, almeno all’apparenza. Non ho ancora visto turbine eoliche ma ho visto molto fotovoltaico domestico sui tetti. All’incirca come da noi, o forse anche un poco di più. Sviluppatosi soprattutto a partire dal 2011 grazie a forti incentivazioni. Infine del modesto sviluppo della geotermia abbiamo già parlato, ma chissà che anche lì le cose possano cambiare.