Calma e gesso

Come una bomba, il bambino prodigio rimasto bambino ha fatto irruzione sulla scena politica internazionale creando scompiglio e disorientamento anche in tutti coloro che sono stati, o sono, clienti del noto marchio di automobili. E così come molti sono usciti da X, alcuni hanno ritenuto di vendere l’auto, con il caso più famoso quello della cantante Sheryl Crow. Dunque come porsi sulla questione, in particolare per chi ha ancora una certa etica (merce sempre più rara) ed è fortemente impegnato nella lotta ai cambiamenti climatici, che, ricordiamolo, è in primis una lotta contro l’utilizzo dei combustibili fossili?

Come sempre le reazioni impulsive sono quelle più sbagliate, soprattutto quando effettuate in risposta ad altre azioni impulsive. Quindi calma e gesso!

Innanzitutto, sebbene Tesla sia associata unicamente a Musk, è bene ricordare che l’azienda fu fondata nel 2003 da altre due persone, Martin Eberhard e Marc Tarpenning, in risposta al fatto che General Motors aveva richiamato e distrutto le sue auto elettriche EV1. Musk entrò nella società come investitore principale nel 2004. Col senno di poi si potrebbe affermare che il bambino prodigio avesse in realtà fiutato unicamente un business, e che dunque le sue dichiarazioni iniziali a favore della transizione energetica del settore automobilistico fossero un bluff. Ebbene, se si trattava di un bluff è durato molto, visto che ancora nel 2016 nell’intervista rilasciata per il documentario Before the flood di Di Caprio parlava di energia rinnovabile e batterie di accumulo da fare arrivare al sud del mondo per liberarlo dai combustibili fossili, e addirittura invocava la Carbon Tax. E non va dimenticata l’altra “follia” di Musk, quando nel 2014 decise di aprire i suoi brevetti alla concorrenza. Un ‘altra mossa che, sebbene certamente dettata da una visione di business, non si può negare abbia rappresentato nella sostanza qualcosa di veramente visionario. O ancora quando in occasione di eventi meteorologici estremi che determinavano evacuazioni di massa (esacerbati dai cambiamenti climatici, ndr) regalava ricariche gratuite per facilitare l’esodo.

E’ poi fuori discussione che se la vendita di auto a combustione interna ha raggiunto il picco nel 2018 il ruolo di Tesla è stato determinante, in quanto prima (e credo oggi sostanzialmente ancora unica) casa automobilistica globale a produrre SOLO veicoli elettrici. Così come unico rimane il modello di business che non si limita alla sola vendita di veicoli ma include la possibilità di farli viaggiare grazie alla rete di ricarica ancora oggi più capillare, affidabile (e spesso più economica) in tutto il mondo. La crisi delle case tradizionali, soprattutto europee, è da ricercare proprio nel fatto che hanno considerato l’elettrico come un qualcosa in più, confidando in un lunghissimo transitorio di passaggio dal termico, che consentisse loro di continuare a fare profitti su entrambi i fronti. E invece l’elettrico si è rivelato, ancora principalmente grazie all’eccellenza dei veicoli Tesla e alla loro utilizzabilità, la classica tecnologia disruptive, che ha sparigliato tutte le carte in tavola.

Un altro aspetto degno di nota è la strategia industriale della continua diminuzione dei prezzi dei veicoli, per renderli più accessibili. Infatti dopo i primi modelli di fascia alta sono progressivamente entrati sul mercato veicoli di dimensione inferiore, e si attende il famoso Robotaxi, che sarebbe nuovamente una rivoluzione nella mobilità. Infatti un veicolo piccolo e ad utilizzo condiviso è senza dubbio l’ultima frontiera della sostenibilità della mobilità motorizzata.

Infine non va dimenticato che in Tesla lavorano circa 125.000 dipendenti (a fine 2024), molti dei quali tecnici estremamente preparati, che non meritano di essere penalizzati per via delle esternazioni del bambino.

Dunque ha senso buttare via il bambino con l’acqua sporca? Anche se qua, per analogia, si tratterebbe di buttare via l’acqua pulita (l’azienda Tesla) con il bambino (appunto…) Per me ancora no, anche perché, come recentemente discusso, la sfida personale rimane quella di testare la longevità dell’auto. Anche questo in un’ottica di sostenibilità e circolarità.

A proposito di longevità. Qualche considerazione dopo 8 anni

La cara vecchia S compie 8 anni e 260.000 km, una percorrenza che non ho mai raggiunto con veicoli termici, generalmente afflitti da problemi di vario genere. Soprattutto legati alla gestione dei gas di scarico, ovvero FAP e valvola di ricircolo.

Correva il 30 dicembre 2016 quando ci venne consegnata in un gelido capannone di Rozzano, tra la sorpresa dei figli che erano stati tenuti all’oscuro fino all’ultimo di questa azzardata operazione.

Ma soprattutto il battesimo con il primo viaggio in condizioni estreme per un veicolo elettrico, ovvero in inverno, a pieno carico, con bagagliera sul tetto e destinazione a 430 km di distanza e più di 2000 m di quota, senza alcuna possibilità di ricarica in loco. Nel 2016 i Supercharger si contavano ancora sulla punta delle dita delle mani, per non parlare di altre colonnine, pressoché inesistenti. Ciononostante il viaggio di andata e ritorno è andato liscio, confermando la fattibilità di viaggiare in elettrico, sebbene ai tempi solo con una specifica marca di veicoli e a seguito di un’attenta pianificazione e qualche deviazione rispetto alla strada principale.

Otto anni dopo il mondo è letteralmente cambiato. Sul medesimo itinerario le stazioni Supercharger sulla tratta sono passate da 3 a 9, è comparso un Destination Charger a 100 m dalla casa di montagna, ma soprattutto sono finalmente presenti stazioni di ricarica ad alta potenza in quasi tutti gli autogrill, anche italiani! Questi consentono di ridurre ulteriormente i tempi rispetto al raggiungimento dei Supercharger, e sono perfetti per un veloce rabbocco prima di giungere a destinazione. Rimandando alle puntuali analisi di Motus-E circa la contabilità dei punti di ricarica pubblica, oltre 60.000 a fine 2024, risulta evidente come questa enorme disponibilità renda ulteriormente irrilevante e non percepibile il degrado della batteria, eventualmente compensabile con una breve sosta in più.

Tornando al veicolo, a questo punto la sfida personale è quella di sperimentarne la durata, sia in termini generali che di powertrain, la cui garanzia termina appunto con gli 8 anni. Operazione senz’altro agevolata dalla disponibilità di ricariche gratuite illimitate, ma perfettamente in linea con i principi dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale. Chi vivrà vedrà….

Dalle stelle alle stalle

Passare in due giorni da Amsterdam a Roma è uno shock da tanti punti di vista, ma se si parla di mobilità è davvero un confronto impietoso, ai limiti del paranormale. Ad Amsterdam, e nelle città olandesi in generale, muoversi in bici è la norma; questo già lo si sapeva, ma ho trovato una situazione se possibile ancora più avanzata. Il concetto di pista ciclabile è praticamente superato; ci sono vere e proprie strade ciclabili, nelle città, con svincoli, incroci. Volendo estremizzare, diciamo che talvolta si incontrano delle “piste automobilistiche” a fianco delle strade ciclabili. Per non parlare dei parcheggi per bici alle stazioni ferroviarie, difficile trovare aggettivi per commentarli…

Ma è altrettanto difficile trovare parole per commentare la situazione viabilistica di Roma. Dirò una sola cosa: è un traffico che fa letteralmente paura. Le auto, sebbene quasi sempre inchiodate nel traffico, detengono il potere assoluto nei confronti di tutto e di tutti. Attraversare a piedi la Cristoforo Colombo al mattino è semplicemente un’esperienza mistica

Per carità, qualche timida pista ciclabile c’è, ma sfilacciata e soprattutto non frequentata!

Come è ben noto, gli olandesi iniziarono a costruire la situazione attuale a partire dagli anni ’70, grazie a movimenti di ribellione contro l’eccesso di traffico di auto nelle città. Che è esattamente la situazione che continuiamo a vivere noi, in particolare a Roma. Ma la differenza è che noi ci siamo completamente assuefatti, la religione dell’utilizzo dell’auto privata in città non è messa in discussione (quasi) da nessuno. Figuriamoci dalla politica…

Auto elettriche e batterie: stato dell’arte

Insieme a un panel di tutto rispetto, al Politecnico abbiamo parlato dello stato dell’arte del settore, delle opportunità, delle criticità, delle prospettive. Particolarmente interessanti i temi sempre attuali dell’integrazione con la rete elettrica e del riciclo delle batterie, per passare da un’economia “lineare- fossile-usa e getta” ad un’economia “circolare-rigenerativa-alimentata da energia rinnovabile”.

Tutte le presentazioni sono disponibili sul sito “Città studi – campus sostenibile”

Un’auto elettrica è meglio di un’auto a benzina?

In questa breve lezione provo a dare una chiave di lettura delle principali caratteristiche dei veicoli elettrici che li rendono più efficaci ed efficienti rispetto a quelli convenzionali. Un ulteriore piccolo contributo a un dibattito che, quantomeno in Italia, sembra non avere mai fine, tra conservatorismi, strategie di retroguardia e paura di affrontare il nuovo che avanza. Grazie a Zanichelli per questa opportunità!

Dieci anni da beta tester

Non saprei esattamente dove collocarmi in questo grafico, dubito tra gli Innovators, più probabilmente tra i cosiddetti Early Adopters. Fatto sta che sono passati ormai dieci anni dall’acquisto del primo veicolo elettrico, dunque il momento giusto per fare il punto della situazione e tracciare un bilancio.

La Nissan Leaf prima edizione, pur con tutti i suoi limiti, mi ha permesso di percorrere 70.000 km senza particolari problemi, diventando fin da subito la prima auto di famiglia in termini di chilometraggio. Alle limitazioni del veicolo si sommavano quelle della rete di ricarica, di fatto inesistente per quanto riguarda le colonnine rapide. I 300 km percorsi in un giorno sul filo del rasoio rimangono ancora tra i ricordi più vividi; un qualsiasi intoppo avrebbe compromesso la giornata di lezioni, che prevedeva il mattino a Piacenza e il pomeriggio a Lecco.

Tre anni dopo, correva il 2016, la tentazione di sostituire l’auto a gasolio con un altro mezzo elettrico, per abbandonare i combustibili fossili. La scelta ricadde sulla Leaf 30, ma fu basata soprattutto sulla promessa dell’imminente installazione di colonnine di ricarica rapida sulla rete autostradale da parte di un grande player italiano. Sappiamo come sia andata a finire: la Leaf 30, con la quale non ho avuto particolari problemi, era tuttavia destinata ad un precoce degrado della batteria, mentre per le colonnine in autostrada abbiamo dovuto aspettare altri 6 anni.

Un viaggio rocambolesco, descritto in questo post, ha tuttavia sancito definitivamente i limiti dell’auto. Dunque con il grande salto nel mondo Tesla la definitiva consacrazione della possibilità di muoversi in elettrico a 360 gradi per lavoro e per vacanza, in Italia e in Europa, o per andare a sciare in montagna a pieno carico.

Uno degli aspetti più interessanti in questi anni è stato seguire l’evoluzione della rete di ricarica; in particolare l’impressionante crescita delle stazioni Supercharger, ma anche la diffusione delle colonnine lente in ogni dove (grazie in particolare a EnelX, A2A e Becharge). E ultimamente le ottime Hyperfast di Free To X in autostrada. Sta di fatto che tutti gli early adopters hanno svolto il ruolo di beta tester, fornendo un piccolo ma importante contributo allo sviluppo della rete e soprattutto alla sua funzionalità. Forse oggi questa cosa non serve più nemmeno in Italia, visto che ormai è possibile viaggiare senza particolari programmazioni preliminari, e magari arrivare in inverno sul valico del Sempione con il 5% di batteria. Molto bene così, ma d’atro canto quell’adrenalina dei primi anni un po’ mi manca…

E per finire, 10 anni in sintesi

400.000 km totali: 180 su Leaf, 220 su Tesla

Stima del costo di gasolio non acquistato: 40-45.000 €

km percorsi gratuitamente: impossibile stimarli, ma tra Supercharger gratuiti, energia ricaricata da fotovoltaico e ricariche gratuite su varie colonnine, direi almeno i 3/4 del totale

Numero di volte in cui sono rimasto a piedi: zero

Ancora sulla Norvegia

Perché la Norvegia è diventato un caso di studio sulla diffusione dei veicoli elettrici a livello mondiale? I motivi sono numerosi, e tutti insieme concorrono a una risposta univoca: perché non poteva essere altrimenti.

Venti postazioni di ricarica al parcheggio alla base del Preikestolen

Agevolazioni sull’acquisto e sull’utilizzo. Acquistare un’auto elettrica costava meno dell’equivalente termica grazie all’abolizione dell’IVA. Inoltre la possibilità di utilizzare le corsie preferenziali (ora non più), di parcheggiare gratis (ora non più) hanno rappresentato un goloso incentivo a fare il salto.

Modalità di guida. Viaggiare in Norvegia è estremamente rilassante in quanto il rispetto delle regole della strada è maniacale. Avete presente la Svizzera? Ecco, qua ancora di più, se possibile. Il limite extraurbano è di 80 km/h, raramente sale a 90. E naturalmente tutti lo rispettano senza se e senza ma. Condizioni di viaggio così tranquille sono quelle che permettono di massimizzare l’autonomia di qualsiasi veicolo, e di uno elettrico in particolare.

Mix energetico. Il 90% proviene da idroelettrico. Serve aggiungere altro?

Condizioni climatiche. Vero, fa molto più freddo, e i veicoli elettrici perdono autonomia con le basse temperature. Ma è una perdita temporanea, non associata alla degradazione della batteria. Cosa, quest’ultima, che invece beneficia delle estati più fresche.

Cavi di ricarica che sbucano da ogni dove

Ma come la mettiamo con il petrolio norvegese? Ebbene sì, la Norvegia estrae un sacco di petrolio e lo vende in giro per il mondo. Scrivo questo post proprio da Stavanger, la capitale delle estrazioni petrolifere, dove c’è anche il Museo del petrolio. Personalmente non ci vedo uno scandalo, visto che è evidente come il paese stia vivendo una fase di transizione energetica vera. E tutto sommato queste estrazioni stano facendo posto ad una potenziale ampia disponibilità di stoccaggio di CO2, secondo il progetto Northern Lights.

Ma se tutte le auto fossero elettriche?

Benvenuti in Norvegia, nazione che probabilmente per prima raggiungerà questo risultato, visto che sta traguardando la fine della vendita di veicoli alimentati a combustibili fossili entro l’anno 2025. Il coronamento di un percorso lungo, iniziato nel lontano 1990, ma che ha dato i suoi frutti. Nel 2022 viaggiando per le strade della Norvegia si incontrano tutti i modelli possibili e immaginabili di veicoli elettrici, nonché una rete di ricarica davvero capillare, con colonnine disseminate anche nei luoghi più sperduti. Uno dei motivi che ha portato a questa situazione è stata la forte spinta politica che si è tradotta sia in robusti sgravi fiscali sull’acquisto, sia in agevolazioni per l’utilizzo. Famoso è il caso della possibilità di utilizzare le corsie riservate a bus e taxi ad Oslo, nonché i parcheggi gratuiti. Una volta ottenuto l’obiettivo, queste ultime agevolazioni sono state giustamente rimosse… e infatti io ho pagato 60 euro per 6 ore di parcheggio in centro a Oslo…

Pur con una penetrazione così elevata (nel 2021 il 65% delle nuove auto vendute sono state elettriche pure, come si può vedere qua) non risulta che il sistema elettrico norvegese, basato per il 90% su energia idroelettrica, sia andato in crisi. Una stima effettuata nel 2019 aveva ipotizzato un incremento di consumo di energia elettrica del solo 3%.

Relativamente all’Italia, dove siamo invece ben lontani da questi livelli, RSE aveva effettuato una stima dell’impatto sulla rete elettrica di una penetrazione significativa di veicoli elettrici. Ne è risultato un incremento del consumo inferiore al 5% nell’ipotesi della presenza sulle strade di 10 milioni di veicoli elettrici.

Tornando alla Norvegia ed entrando nel merito dell’infrastruttura di ricarica, anche qua si osserva il divario tra Tesla e “resto del mondo”. La scelta del costruttore californiano di investire sulla rete Supercharger pare decisamente vincente. Le stazioni hanno una taglia media di circa 20 punti di ricarica, ma spesso risultano in fase di ampliamento, che può significare anche un raddoppio (come si può vedere nella foto qua sotto). Si iniziano peraltro a vedere veicoli non Tesla in ricarica, come ampiamente previsto e come decisamente auspicabile, almeno a parere di chi scrive, nell’ottica di promuovere ulteriormente la diffusione della mobilità elettrica.

Insomma, in Norvegia è davvero raro sentire puzza di gas di scarico!

Esperto Promotore della Mobilità Ciclistica

Tornare sui banchi di scuola all’Università di Verona per acquisire nuove competenze su un argomento strategico è stata una bellissima esperienza. E anche l’occasione di conoscere tantissime persone entusiaste e toccare con mano alcune esperienze avanzate di supporto alla mobilità ciclistica, sia urbana (Mestre, Bolzano) che turistica (la meravigliosa ciclabile della Valsugana).

Il mio elaborato finale ha riguardato un’analisi della mobilità ciclistica nel mio territorio dell’Ovest Ticino, unito a una serie di proposte per promuoverla, sia in termini di ciclismo urbano che ricreativo/turistico. Per questo lo metto a disposizione di tutti gli interessati:

Mario Grosso – elaborato finale 2021

Allegato Indagine mobilita urbana a Oleggio

Presentazione PPT

W Tesla, dagli a Tesla!

Parafrasando un recente post, vorrei tornare su un argomento talvolta divisivo all’interno della comunità del cosiddetto “popolo elettrico”, ovvero l’idiosincrasia per Tesla e indirettamente per il suo patron Elon Musk. Questo aspetto mi era parso sopito, tuttavia esistono ancora alcuni pasdaran che, sebbene cultori della mobilità elettrica fin dalla prima ora, criticano apertamente Tesla per una serie di ragioni che spesso paiono riconducibili ad una battaglia ideologica.

I fatti ci dicono innanzitutto che Tesla non si configura come un semplice costruttore di automobili, bensì come un’azienda che offre un servizio di mobilità elettrica (cosa ben diversa dalla semplice vendita di un veicolo) e più in generale traguarda un modello di transizione verso l’energia rinnovabile, dove il veicolo è elemento centrale ma non esclusivo. Il gruppo comprende infatti anche la realizzazione di una rete di ricarica capillare e affidabile, sia rapida (Supercharger) che lenta (Destination Charging),  la produzione di batterie per sistemi di accumulo stazionario a supporto di impianti a energia rinnovabile, sistemi di tegole fotovoltaiche, per citare i principali.

Rimanendo sul tema del veicolo, questo è pensato con una logica completamente diversa da qualsiasi costruttore tradizionale: si tratta naturalmente di veicoli nativi elettrici e non di goffi adeguamenti di modelli fossili esistenti, basati su un design molto particolare e una funzionalità essenziale, gestiti come dei computer su 4 ruote, continuamente aggiornati con nuove funzionalità, ecc. ecc. Di fronte a questa dirompente innovazione, i costruttori tradizionali non hanno potuto fare altro che mettere in pratica il famoso detto “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono…”. E’ infatti a mio avviso fuori discussione che i recenti slanci verso la mobilità elettrica da parte di alcuni di essi derivino proprio dalla constatazione dell’effetto dirompente di Tesla sul mercato e dell’enorme interesse suscitato per i propri veicoli. Vedersi sorpassare nelle vendite da quella che sembrava una piccola azienda visionaria californiana ha sicuramente smosso le acque, ma nel frattempo l’enorme ritardo accumulato pare difficilmente colmabile in tempi brevi. E questo ritardo non riguarda, ancora una volta, la sola produzione di veicoli, bensì l’intero ecosistema “servizio di mobilità elettrica”. Insomma, Tesla ha fatto e continuerà a fare ancora per molto la lepre, che tutti si apprestano a inseguire, a beneficio generale dello sviluppo della mobilità elettrica. Ecco, questo specifico aspetto mi sembra forse l’unico sul quale anche i citati pasdaran, concordano obtorto collo.

Un altro aspetto che merita qualche considerazione è la capacità di Tesla di coniugare due elementi centrali nella scelta di un veicolo: la componente razionale e quella emotiva. Sappiamo che le persone possono spaziare da un estremo all’altro. Diciamo da chi, nell’acquisto di un’auto, pesa con un rapporto 90/10 queste due componenti a chi al contrario considera un rapporto 10/90. Ebbene, un veicolo Tesla è in grado di intercettare entrambi questi estremi. Chi è alla ricerca di efficienza, utilizzabilità e funzionalità le trova senza alcun problema, ça va sans dire (la Model 3 è il veicolo più efficiente sul mercato). Chi basa l’acquisto sull’impulso emotivo trova veicoli dal design che non passa inosservato e soprattutto dalle prestazioni estreme. Diciamo che un veicolo come la Nissan Leaf (che personalmente adoro, ndr) difficilmente può suscitare questo genere di sentimento, a partire dal goffo design della prima versione. Questo significa, molto banalmente, che si traghetta all’elettrico una fetta della clientela che mai lo farebbe. Ed è un aspetto non da poco.

Infine l’argomento dei costi: i veicoli Tesla sono solo per ricchi e facoltosi. E’ indubbio che Tesla sia partita con la costruzione di veicoli molto cari, a partire dalla prima Roadster, tuttavia la storia dimostra come ci sia stata una continua diminuzione dei prezzi, sia grazie all’introduzione di nuovi modelli più piccoli (la già citata Model 3), sia su modelli esistenti. Improvvise consistenti riduzioni di prezzo effettuate da un giorno all’altro hanno suscitato non pochi mal di pancia a chi aveva effettuato l’acquisto poco tempo prima. Numerosi confronti hanno dimostrato come i veicoli Tesla risultino spesso più economici di modelli di pari categoria, senza contare i risparmi dovuti ai minori costi di gestione.

Insomma, si convinceranno mai i detrattori a riconsiderare le proprie posizioni? Difficile, ma credo che gli argomenti qua sopra esposti possano fornire un utile contributo alla discussione. Diciamo che, volendo vedere l’altra faccia della medaglia, anche un ridimensionamento dell’approccio dei cosiddetti “Tesla fanboys” aiuterebbe a rimettere il dibattito sui giusti binari.